lunedì 17 settembre 2012

Tutti pronti a difendere il valore legale del diploma che oggi non garantisce più un posto di lavoro


Siamo il fanalino di coda in Europa. Pochi laureati rispetto alla popolazione. Eppure, in Italia chi ha un titolo tasca stenta a trovare un lavoro adeguato alla propria preparazione. Difendiamo strenuamente il valore legale del titolo di studio tanto che il ministro dell’Istruzione Francesco Profumo e al governo dei tecnici sono costretti a fare marcia indietro. Ma un recente rapporto di Confartigianato recita che ben 44.700 laureati quattro anni dopo sono ancora a zonzo. C’è di più: secondo l’ultimo rapporto Ocse il tasso di occupazione tra il 2002 e il 2010 è sceso dall’82,2% al 78,3% per i laureati – nella fascia di età compresa tra i 25 e i 64 anni – mentre tra gli adulti diplomati è rimasto stabile al 72%. La difficoltà dei laureati italiani di trovare un impiego adeguato rientra in un problema più ampio che riguarda il passaggio dal mondo della scuola a quello del lavoro. 


L’Italia combatte, infatti, con alti tassi di inattività tra i giovani: nel 2010 il 23% dei ragazzi tra i 15 e i 29 anni né studiava né lavorava. Una percentuale che è la quinta più alta tra i Paesi Ocse, ben al di sopra della media che si attesta al 16% e che spiega in parte perché il tessuto produttivo tecnico italiano abbia gravi carenze di organico. Da qui il bisogno di dover fare qualcosa. Poco dopo il suo insediamento, il governo dei tecnici avanzarono una proposta epocale per sbloccare il rapporto giovani-mercato del lavoro. In una conferenza di fine gennaio scorso il premier Mario Monti dichiarò di essere “favorevole a superare il formalismo del valore legale”. Questa idea venne prima inserita nel decreto Milleproroghe, salvo poi essere stralciata per poterla discutere democraticamente in una consultazione pubblica. Il premier Monti motivò così il referendum: “Siamo considerati un governo decisionista ma quando troviamo temi per i quali sia necessario fare un approfondimento molto più ampio e non siano di grande urgenza apriamo il dibattito”. La consultazione online, sponsorizzata dal ministro dell’Università Profumo, si è rivelata in realtà un fiasco, e ben il 75% delle oltre 20mila risposte complete postate sul sito del Ministero hanno bocciato l’abolizione del valore legale della laurea. Tra i 15 punti tre i dati più rilevanti: 17.726 utenti hanno giudicato positivamente il possesso di uno specifico titolo di studio per svolgere una professione; 13.888 sono stati i sì all’esigenza di avere un titolo per poter accedere al pubblico impiego; 13.304 i pareri positivi al bisogno che un dipendente pubblico abbia un titolo idoneo per fare carriere nella pubblica amministrazione. Da allora l’idea dell’abolizione del valore legale della laurea è stata abbandonata e ogni proposta caduta nel dimenticatoio. 
Il tentativo dei tecnici di dare una spallata ai laureati “fancazzisti” non ha avuto buon esito e allora oggi arriva un rapporto Ocse ha far suonare il campanello d’allarme. In Italia la percentuale di laureati resta tra le più basse dell’area Ocse, ed è cresciuta lentamente nell’arco degli ultimo 30 anni. Secondo i dati del rapporto «Education at a Glance» pubblicato lo scorso martedì, il 15% delle persone tra i 25 e i 64 anni ha un titolo di studio universitario o di livello equivalente, contro una media Ocse del 31% e una media dell’Ue del 28%. In Francia, la quota è del 28%, in Gran Bretagna del 38% e in Germania del 27%. La percentuale di laureati nella fascia d’età 25-34, inoltre, è superiore di soli 10 punti a quella registrata nella fascia 55-64, 21% contro 11%, cosa che indica un incremento lento della quota di persone che terminano gli studi universitari. Questa differenza è invece, per esempio, di 25 punti percentuali in Francia (18% contro 43%) e di 21 in Spagna (18% contro 39%); in media, nei Paesi Ocse, il divario è di 15 punti percentuali, 38% contro 23%. In Italia, negli ultimi anni, avere in tasca una laurea non rende più facile trovare un lavoro. Il tasso di occupazione tra i laureati di età compresa tra i 25 e i 64 anni è sceso al 78,3% mentre è leggermente aumentato quello di disoccupazione (5,6%). Logica imporrebbe che se non si trova un lavoro adeguato al titolo di studio conseguito, pur di lavorare, si ridimensionerebbero le proprie ambizioni. Tuttavia così non è. Un recente studio di Confartigianato - vedere post precedente - dimostra come a quattro anni dalla laurea ci siano ben 44.700 giovani a caccia di un impiego. Il paradosso è che molti settori, propriamente non di concetto, denunciano carenze di organico enormi e offrono posti a getto continuo. L’artigianato e le professioni tecniche, che pur hanno negli anni accresciuto nel mondo la percezione che l’Italia è qualità, reclamano maestranze e forza-lavoro per poter competere contro i Paesi in espansione. Il bacino a cui vorrebbero attingere è ampio ma i pesci che ci sono dentro preferiscono starsene rintanati in attesa di tempi migliori.

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